Chiamami ed io verrò,
accostandomi alla tua pelle
nitida, scivolando in un
silenzio discreto sui tuoi
seni, accovacciandomi
al tuo fianco, in attesa di
quei pesanti sospiri che
squassano il tuo stomaco
e rendono malinconico il
tuo viso.
Chiamami ed io verrò,
con la delicatezza di un
baco da seta a tessere entusiasmi,
fiducia di vita che appena
insieme esplorammo, dividemmo,
cantammo. Potenza d’affetto,
che il magnete del cuore
sviluppa, rendendo i miei
quarant’anni di gioia inattesa,
sotto il vibrare dei sentimenti
che il tempo aveva sopito, nascosto
al mio sguardo interno.
Chiamami ed io verrò,
tenendoti per mano, passo
passo nella folla che seduce,
che rimbomba i suoi passi
fino a tarda notte; chiamami
cuore mio, in silenzio, sempre,
chiamami, finché il tramonto
dietro le spoglie colline
cancellerà il ricordo dell’epidermide,
unito dalla pienezza di vita.
Marcello PELLEGRINI
Roma 29-3-1993
Che vuole questa luna solitaria
geometrica sul golfo del Vesuvio?
Questo stridere di freni nella
notte senza vento, il profumo di
rose in un orto abbandonato da
tempo?
Cerco nelle mie mani l’immagine
tua, accarezzata nei momenti di
pausa, negli attimi di respiro concessi dal cuore,
nell’ora delle mense affollate, nei tocchi
degli orologi a pendolo che battono
risoluti. La cerco in quelle righe smodate
che circondano la palma, che s’affossano
nella carne e riescono nella cute,
in questi diti sgraziati, rosicchiati dai
mille lavori d’avventura. Che sospiro
di calma c’è in questo corpo, che gioia
smielata d’affetto, di profondo sentimento
nell’animo mio, che ha smesso il
profondo russare delle notti inquiete.
C’era stato un sapore di oppio in quei baci
di rugiada davanti al mare tempestoso.
Vedevamo, dalla brulla scogliera, piccoli
noccioli che apparivano e scomparivano
sotto litri di spuma, come fosse un gioco
che durava da millenni. Muti negli scialli
di canapa cercavamo speranze di vita,
in tutta quella furia, in mezzo all’alveare
che ci attendeva in città. Grande forza
ci univa le mani, tiepido fiato sui bordi
degli scialli. Tu sola smarrita cercavi un
senso alla vita, ai piccoli atti quotidiani
che ci fanno impazzire al pensiero.
Quando salimmo il colle scosceso fummo attratti
da istinti di morte, mentre il vento inferocito
azzannava i nostri visi scomparsi nella
notte.
Fu un attimo di sollievo quel bacio disteso,
un grammo d’uranio che riempì di energia le
nostre cellule malsane. Gettai via le coperte quella
notte, riprendendo un sonno che sapeva di vita.
Marcello PELLEGRINI
Napoli 23-9-1977
Si muere el canto, quien defendera la lucha?
que sera del que calla la verdad,
del que tiene el poder de hablar y lo olvida,
quien defendera la justicia de los humildes?
De tanta confusion, me canso,
de la falta de razon,
nuestro derecho es la represion,
que mundo es este?
La violencia por doquier,
la pobreza y desempleo,
es la gran evolucion,
que es esto? es educacion?!
Eres sangre guerrera,
llena de fuerte vitalidad,
sabes, olvidar el Sol y el mar,
eso si, es querer llorar.
Antes nos reiamos de todo y nada,
la felicidad que es inocente,
antes yo, ya lo sabia,
sabia que no es asi el futuro.
Creer en el diablo de dia,
buscar el infierno y no la luz,
esa es la verdadera agonia,
la que jala el alma.
Tantas ideas nos dividen,
al final nos llevan a nada,
a confundirnos entre hermanos,
a mirar nuestra propia realidad.
Desde hace tiempo lo sabias,
oh! por que te duermes?
ante la vida misma,
piensa en los futuros dias.
Quien a los dioses conocé y no alza la voz,
por los hermanos que sufren y mueren,
de que sirve el humano sin la luz de la vida?
es como tocar la guitarra sin cuerdas.
La vida es un himno de luz,
no es vida ver al pueblo con hambre,
con ilusiones y con la vida explotada,
el pueblo se refugia entre plegarias al cielo.
Que no venza el miedo al que puede,
al que tiene la fuerza de hablar y luchar,
el opresor esconde los delitos con mentiras,
el pueblo aun tiene esperanzas.
Persignate y habla fuerte obrero,
no existe razon alguna para la esclavitud,
deja que llueva la esperanza en ti,
que se ilumine el alma de los de “abajo”.
Llegaron los cantores y sus guitarras,
como las banderas que se unen para todos,
la ignorancia esta en el opresor,
que no deja que el pueblo viva.
Porque todos quieren libertad?
No sé, no se puede hablar tanto,
todos dicen que es una enfermedad,
si, la fiebre a la Revolucion!
Llegaron los cantores y guitarras.
Se muore il canto, chi difenderà la lotta?
che ne sarà di chi tace la verità,
di chi ha il potere di parlare e dimentica,
chi difenderà la giustizia dei poveri?
Di tanta confusione, mi stanco,
della mancanza di ragione,
il nostro diritto è la repressione,
che mondo è questo?
Violenza ovunque,
povertà e disoccupazione,
è la grande evoluzione,
che cos’è questo? è l’educazione?!
Tu sei il sangue guerriero,
pieno di forte vitalità,
Sai, dimenticare il sole e il mare,
quello si, è volere piangere.
Prima noi ridevamo di tutto e di niente,
La felicità che è innocente,
prima io, lo sapevo già,
sapevo che non è cosi il futuro.
Credere nel diavolo di giorno
cercare l’inferno e non la luce,
questa è la vera agonia,
quella che strappa l’anima.
Tante idee ci dividono,
alla fine ci portano a nulla,
a confonderci tra fratelli,
a guardare la nostra propria realtà.
Da tempo che lo sapevi,
oh! perchè ti addormenti?
Davanti alla vita stessa,
pensa ai giorni futuri.
Chi conosce gli dei e non alza la sua voce,
per i fratelli che soffrono e muoiono,
a cosa serve l’uomo senza la luce della vita?
E ‘come suonare la chitarra senza corde.
La vita è un inno di luce,
Non è vita vedere il popolo affamato,
con delle illusioni e la vita sfruttata,
il popolo si rifugia tra le preghiere al cielo.
Che la paura non vinca chi può,
chi ha la forza di parlare e combattere,
l’oppressore nasconde i crimini con delle bugie,
il popolo ha ancora delle speranze.
Segnati e parla forte operaio,
non esiste alcuna ragione per la schiavitù,
lascia che piova la speranza in te,
che sia illuminata l’anima di quelli sottomessi.
Sono arrivati i cantanti e le loro chitarre,
come le bandiere che si legano a tutti,
l’ignoranza è l’oppressore,
che non lascia vivere il popolo.
Perché tutti vogliono la libertà?
Non lo so, non si può parlare così tanto,
tutti dicono che è una malattia,
si, la febbre della rivoluzione!
Sono arrivati i cantanti e le chitarre.
(traduzione a cura di Maricela ZARATE HERNANDEZ)